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La Giustizia e l'autogol della Politica sull'immunità

Michele Ainis*

Il conflitto tra politica e giustizia è il frutto avvelenato della Seconda Repubblica. Ce lo trasciniamo dietro da vent'anni, ma non se ne vede mai la soluzione. Per forza: a mettere pace servirebbe una riforma di sistema, invece tutti pensano a «sistemare» (in un senso o nell'altro) Silvio Berlusconi. Ed è un errore, perché questa baruffa tra poteri dello Stato è cominciata prima che lui scendesse in campo. A occhio e croce questa baruffa continuerà anche dopo, quando Berlusconi sarà uscito dal campo. A meno che non riusciremo a separare i due pugili sul ring, giudici e politici.

Dopotutto è la vecchia idea di Montesquieu, su cui abbiamo edificato il nostro Stato di diritto: «che il potere arresti il potere». Ma in Italia non c'è separazione fra politica e giustizia. C'è piuttosto un condominio, un territorio di competenze sovrapposte.

Quando è successo? E come? Con una doppia revisione costituzionale, battezzata durante Tangentopoli. Nel 1992 venne pressoché reciso il potere di clemenza delle Camere: da allora serve la maggioranza dei due terzi. Significa che è più facile correggere la Costituzione (dove basta la maggioranza assoluta) che sfollare le carceri attraverso un'amnistia. E infatti nei 21 anni successivi ne abbiamo celebrata una soltanto (l'indulto del 2006), quando nei 150 anni precedenti ne erano state concesse 333, oltre un paio l'anno. Insomma, per castigare l'abuso abbiamo finito per vietare l'uso. Ma al tempo stesso il Parlamento ha perso l'ultima parola sulla giustizia dei reati e delle pene, decretando il primato della magistratura. Poi, nel 1993, interviene la resa. Quando la politica riscrive l'articolo 68, rinunziando alle vecchie immunità.

«Art. 68

I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura.
Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».

Nel testo dei costituenti c'era l'autorizzazione a procedere, ossia il visto obbligatorio delle Camere per sottoporre a processo penale ciascun parlamentare; e c'era l'autorizzazione agli arresti, anche in seguito a una sentenza definitiva di condanna. Insomma, con le vecchie regole sul caso Berlusconi avrebbe deciso il Parlamento. Ma al di là di Berlusconi, con le vecchie regole ogni potere aveva la sua regola. Certo, a dirla così rischi il linciaggio. Non è forse vero che l'immunità parlamentare offende il principio d'eguaglianza? Vero, ma nessuno potrà mai tacciarla come un'idea incostituzionale, dato che a concepirla furono i costituenti. Anzi: relatore era Mortati, il maggiore fra i nostri costituzionalisti. E l'idea a sua volta replica una pagina di storia.

Quando nel 1790 venne incriminato il deputato Lautrec, l'Assemblea nazionale francese reagì con un decreto: i parlamentari potranno essere arrestati «conformemente alle ordinanze» deliberate dai medesimi parlamentari. Da qui il rafforzamento delle assemblee legislative, da qui una diga fra politica e giustizia.

Ecco, è di quella diga che c'è ancora bisogno. Magari con qualche variante in corso d'opera, per evitare gli abusi passati: un tempo certo per decidere da parte delle Camere (altrimenti l'inerzia si trasformerà in consenso tacito all'autorizzazione), una motivazione congrua sul fumus persecutionis, l'interruzione della prescrizione. D'altronde in ultima istanza resterebbe pur sempre la Consulta. Invece adesso ci resta solo un po' di nostalgia per i bei tempi andati. Succede per le immunità, succede per la legge elettorale, dove in tanti rimpiangono il vecchio Mattarellum. D'altronde se mettessimo a confronto la Costituzione timbrata nel 1947 e quella sfigurata da 15 restyling, difficilmente premieremmo la seconda. Si stava meglio quando si stava peggio.

* costituzionalista ed editorialista del Corriere della Sera

(Lunedì 19 agosto 2013)

 

 

 

 

 

 

 

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