Rino Formica: «È l’ultima
chiamata prima della guerra
civile. Ora il Presidente parli»
L’ex
ministro socialista: «Assistiamo
alla decomposizione delle
istituzioni, nel decreto
sicurezza si accetta la fine del
ruolo di Palazzo Chigi. I leader
politici sono screditati. Solo
un’autorità morale e politica
può mobilitare la calma forza
democratica dell’opinione
pubblica. Lo strumento c’è, è il
messaggio del Colle alle camere»
«Quando si rompono gli
equilibri istituzionali o c’è la
soluzione democratica, o decide
la forza. Se non ci sono
soluzioni democratiche c’è la
guerra civile». Con Rino Formica
– classe 1927, socialista, più
volte ministro, da più di mezzo
secolo le sue definizioni della
politica e dei politici sono
sentenze affilate, arcinote e
definitive – il viaggio per
approdare all’oggi, un oggi
drammatico, inizia da lontano.
Con il Pietro Nenni «di quei
dieci giorni lunghi quanto un
secolo fra il 2 e il 12 giugno
del ’46», racconta, «fra il
referendum e la proclamazione
della Repubblica c’è il
tentativo del re di bloccare la
proclamazione della Repubblica.
Umberto resisteva al Quirinale.
I tre grandi protagonisti, De
Gasperi Togliatti e Nenni,
presero la decisione di
convocare il Consiglio dei
Ministri e di dare i poteri di
capo dello stato a De Gasperi,
che era presidente del
consiglio. De Gasperi andò al
Quirinale sfrattò Umberto. In
quei giorni noi, dalle
federazioni del partito
socialista, chiedemmo che fare.
C’era il rischio reale che si
bloccasse il processo
democratico. Nenni appunto
diramò la disposizione: quando
si rompono gli equilibri
istituzionali o c’è la soluzione
democratica o la parola passa
alla forza». Questa è la
«questione», sostiene Formica.
Stiamo assistendo a
una rottura istituzionale?
Questa rottura è antica,
maturava già dagli anni 70, ma
il tema viene strozzato. Il
contesto internazionale è
bloccato, un paese di frontiera
come l’Italia deve fronteggiare
equilibri interni ed
internazionali. Nell’89 questo
blocco salta, ma le classi
dirigenti non affrontano il tema
della desovranizzazione degli
stati che diventavano affluenti
dell’Europa unitaria. I grandi
partiti entrano in crisi. Il Pci
è in crisi logistica e di
orientamento; il Psi perde la
rendita di posizione; la Dc è
alla fine della sua funzione
storica.
Torniamo alla nostra
crisi istituzionale.
Da allora abbiamo due documenti
importanti. Il primo è del ’91,
il messaggio alle camere di
Cossiga che spiega che
l’equilibro politico e sociale è
superato. Poi, nel 2013, il
discorso del secondo mandato di
Napolitano. Due uomini diversi,
con due approcci diversi, con
coraggio pongono al parlamento
il tema del perdurare della
crisi. E i parlamentari, fino ad
oggi, continuano a far finta che
tutto va bene, che è solo un
temporale, passerà. Oggi siamo
alla decomposizione
istituzionale del paese.
Quali sono i segnali
della «decomposizione»?
Innanzitutto il governo: non
c’è. Oggi ci sono tribù che
occupano posizioni che una volta
erano del governo. Il presidente
del consiglio convoca le parti
sociali, ma il giorno dopo le
convoca il ministro degli
interni. E i sindacati vanno.
Quando il sindacato non ha un
interlocutore istituzionale ma
va da chi lo chiama si
autodeclassa a corporazione:
vado ovunque si discuta dei miei
interessi. Allora: non c’è un
governo, perché la sua attività
è stata espunta; non ci sono i
partiti né i sindacati. È la
crisi dei corpi dello stato. Si
assiste a un deperimento anche
delle ultime sentinelle,
l’informazione, la magistratura.
Sta dicendo che non
c’è alternativa alla guerra
civile?
C’è. Oggi siamo in condizione di
mobilitare la calma forza
democratica dell’opinione
pubblica? Chi può animarla? I
leader politici sono deboli o
screditati. Serve l’autorità
morale e politica che può creare
un nuovo pathos nel paese. Uno
strumento democratico c’è, sta
nella Carta. È il messaggio del
presidente della Repubblica alle
camere. Nell’81 la camera
pubblicò un volume sui messaggi
dei presidenti. Nella prefazione
il costituzionalista Paolo
Ungari spiega che il messaggio
alle camere ha una grande
importanza. Il presidente ha due
modi per dialogare con il
parlamento. Il primo è quando
interviene nel processo
legislativo. Quando rinvia alle
camere un disegno di legge per
incostituzionalità. È vero che
non ha il diritto di veto ma –
dice Ungari – porta il dissenso
dinanzi al parlamento e anche
all’opinione pubblica, «un terzo
e non silenzioso protagonista».
Dovrebbe succedere
con il decreto sicurezza bis?
Leggo che Mattarella ha dubbi.
Forse ha dubbi su di sé: le
norme incostituzionali stavano
già nel testo che ha firmato e
inviato alle camere. Lì si
accettava il superamento della
funzione del presidente del
consiglio: non c’è più, viene
informato dal ministro degli
interni. È la negazione della
norma costituzionale. Ma è vero
che se oggi lo rimandasse alle
camere la maggioranza potrebbe
ben dire: abbiamo votato quello
che tu hai già firmato.
Allora cosa può fare?
La situazione di oggi è figlia
dell’errore del 2018. Il
presidente dà l’incarico
esplorativo a Cottarelli e
questo incarico viene sospeso
dall’esterno da due signori che
notificano al Quirinale di non
procedere perché stanno stilando
un «contratto» di cui indicano
l’arbitro, il presidente del
consiglio. È il declassamento
dall’accordo politico a
contratto di natura civilistica,
uno stravolgimento
costituzionale. L’accordo di
governo è altra cosa: stabilisce
una cornice politica generale.
L’errore è dei contraenti, ma
chi lo ha avallato poteva fare
diversamente? Se il presidente
del consiglio è arbitro si
accetta il fatto che la crisi
istituzionale si supera
attraverso una extrademocrazia
aperta a tutti i venti.
Un punto di non
ritorno?
Il problema ora è mettere uno
stop. Il presidente della
Repubblica dovrebbe fare un
messaggio sullo stato di salute
delle istituzioni. Il presidente
del consiglio non c’è più, il
governo neanche, la funzione
della maggioranza è mutata fra
decretazione e voto di fiducia.
Ormai, di fatto, una camera
discute, l’altra solo vota. Si
sta consumando un mutamento
dell’equilibrio istituzionale.
Il presidente ci deve dire se
questa Costituzione è diventata
impraticabile.
Intanto il Viminale
allarga i suoi poteri.
Salvini crea una novità nel
nostro tessuto democratico.
All’interno di un sistema di
sicurezza crea una fazione
istituzionale di partito: spezza
un corpo dello stato in fazioni
politiche. Il rischio è che
nasca una polizia salviniana.
Che avrebbe come conseguenza la
nascita della Rosa bianca, come
sotto Hitler. E non solo. Ormai
Salvini fa in continuazione
dichiarazioni di politica estera
che si pongono al di fuori dei
trattati a cui aderisce
l’Italia.
Mattarella ha gli
strumenti per fermarlo?
Mattarella viene da una
educazione morotea, quella della
inclusione di tutte le forze che
emergono, anche le più
incompatibili. Ma ne dà
un’interpretazione scolastica.
Moro spiega la sua visione
nell’ultimo discorso ai gruppi
parlamentari Dc, prima del
sequestro. Convince i suoi
all’inclusione del Pci nel
governo ma, aggiunge, se
dovessimo accorgerci che fra gli
inclusi e gli includenti c’è
conflitto sul terreno dei
valori, noi passeremo
all’opposizione. L’inclusione
insomma non può prescindere dai
valori. Altrimenti porta alla
distruzione dei valori anche di
quelli che li hanno. Infatti il
contratto non è un’intesa fra i
valori ma tra gli interessi.
Insomma questo
governo è un cavallo di troia
nelle istituzioni?
È la mela marcia che infetta il
cesto.
Mattarella può ancora
intervenire?
Non c’è tempo da perdere, deve
rivolgersi al parlamento.
L’opinione pubblica deve essere
rimotivata, deve sapere che ha
una guida morale, politica e
istituzionale. Si sta creando il
clima degli anni 30 intorno a
Mussolini.
I consensi di Salvini
crescono, l’opinione pubblica
ormai si forma al Papeete beach.
Ma no, Salvini cresce perché non
c’è un’alternativa. Un messaggio
del presidente darebbe forza a
quelle tendenze maggioritarie
nell’Ue che hanno bisogno di
sapere se in Italia c’è qualcuno
che denuncia il deperimento
democratico. Anche perché, non
dimentichiamolo, l’Unione ha
l’arma della procedura di
infrazione per deperimento
democratico, già usata per la
Polonia.
In questo suo
ragionamento l’opposizione non
ha ruolo?
Il paese è stanco, il Pd non è
in condizioni di rimotivarlo.
Nessuno ne ha la forza. La
stampa è sotto attacco, si
difende, ma per quanto ancora?
Hanno aggredito Radio
radicale, i giornali, dal
manifesto all’Avvenire,
intimidiscono anche la stampa
più robusta. Solo una forte
drammatizzazione istituzionale
può riuscire. All’incontro con i
cronisti parlamentari Mattarella
ha fatto un discorso importante.
Ecco, tutti insieme dovrebbero
chiedergli di ripeterlo ma in
forma di messaggio alle camere.
Per dare un rilievo ufficiale
agli attacchi alla libera
stampa. La signora Van der Leyen
non potrebbe non intervenire.
Anche perché resta il
dubbio che la Lega sia strumento
della Russia contro l’Ue.
I rapporti fra Salvini e la
Russia di Putin sono servili. La
Russia ha un forte interesse a
un’Italia destabilizzata per
destabilizzare l’Europa. Il
disegno non è di Salvini, lui è
solo un servo assatanato di
potere.
Ministro, con Salvini
sono tornate le ballerine,
stavolta in spiaggia?
Quando parlai di «nani e
ballerine» intendevo che non si
allarga alla società civile
mettendo in un organo politico i
professionisti del balletto. Qui
siamo alla versione pezzente del
Rubigate. Quello di Berlusconi
era un populismo di transizione
ma non si può negare che
intercettasse sentimenti
popolari. Salvini invece eccita
i risentimenti plebei.
Chiede al Colle di
agire un conflitto inedito nella
storia repubblicana?
Ma se questa situazione va
avanti, fra due anni Salvini si
eleggerà il suo presidente della
Repubblica, la sua Consulta, il
suo Csm e il suo governo. Siamo
al limite. Lo dico con Nenni:
siamo all’ultima chiamata prima
della guerra civile
nazionalsovranista.
Intervista di
Daniela Preziosi pubblicata su
Il Manifesto l'8 agosto 2019
Sandro Pertini
L'idea di socialismo
Loris Fortuna
Pietro Nenni
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