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Lotti, niente sfiducia. Sollievo del ministro: «Con M5S credevo peggio»

Un leghista confida: Salvini ci ha bruciati, eravamo contro

ROMA. Terminata la seduta, si mette a stringere mani e a ringraziare i senatori appena fuori dall’Aula, in quel corridoio di Palazzo Madama — lontano dalla ressa — dove sono esposti i dipinti dei presidenti del Senato. Finché c’è chi gli fa notare che «per caso» si è posizionato proprio sotto il ritratto di Fanfani. «È quasi per caso...», sorride finalmente Lotti, volgendo lo sguardo verso lo statista aretino che i renziani considerano progenitore della loro schiatta. In quel momento sembra quasi che il ministro dello Sport renda omaggio al nume tutelare, al termine di una giornata per lui particolare: «È andata bene. Credevo peggio con i grillini».

La mozione di sfiducia dei Cinquestelle è stata appena bocciata, ma in fondo il Movimento ha ottenuto ciò che voleva, perché «anche la mozione contro la Boschi non passò — aveva spiegato il giorno prima Di Battista — però da lì cominciò il declino del Pd». Niente clamore, stavolta, e nemmeno folklore nell’emiciclo. Solo Raggi di ilarità quando la grillina Taverna invita Lotti a dimettersi seguendo «il nostro codice etico». «Credevo peggio», aveva sussurrato già in Aula l’esponente del governo dopo l’arringa «grillina». Il peggio sarebbe arrivato di lì a poco con lo scissionista Gotor, che indossando i panni del pm avrebbe rappresentato il giglio magico come «una sorta di rapace chilometro zero del potere, una sorta di amici miei in salsa governativa».

«È iniziata la faida a sinistra. E scorrerà del sangue», anticipa il sottosegretario centrista Gentile: «Sangue politico e giudiziario». Il senatore calabrese si rivelerà facile profeta. Terminato il dibattito, l’ex titolare della Difesa Mauro si sta aggirando in Transatlantico in cerca di risposte all’unico quesito irrisolto della storia: «Ho ascoltato Lotti e tenderei a credergli quando dice di non aver informato l’ad di Consip Marroni dell’inchiesta giudiziaria. Marroni però sostiene l’esatto contrario. Ora, se Lotti non lo ha ancora querelato, ci sarà un motivo: aspetta che venga fuori altro. E cosa possa venir fuori ce l’ha fatto intuire il renziano Marcucci, che intervenendo in Aula ha più volte sottolineato gli stretti legami di Marroni con il governatore toscano Rossi, passato con gli scissionisti. Vuoi vedere...».

Mentre Mauro parla, c’è Marcucci lì vicino ad ascoltarlo, e il suo volto tradisce quella forma di imbarazzo che coglie chi è soddisfatto di esser stato scoperto. «Allora è così...», chiede il senatore forzista al collega democrat. «Stai interpretando un dettaglio del mio intervento», è la risposta che non smentisce. Anzi alimenta il teorema della «faida a sinistra». D’altronde era stato lo stesso Lotti a evidenziare che alla sbarra non c’era lui in quanto ministro dello Sport «ma quello che rappresento». Cioè Renzi. Perciò la mozione di sfiducia si è trasformata in una mozione degli affetti: gli avversari dell’ex premier avevano raggiunto il loro scopo, non serviva altro.

Nell’Aula il tasso di garantismo ha raggiunto livelli di guardia come il tasso etilico di un bevitore, perché chi si professava garantista con gli avversari lo faceva solo dopo aver stilato l’elenco dei loro indagati. Una voce fuori dal coro si è rivelata sincera, quella del socialista Buemi, che ha ricordato «gli orrori» del centrosinistra, la mozione di sfiducia nel ’95 contro il Guardasigilli Mancuso, reo agli occhi dei giustizialisti di essere un garantista. In quel passaggio ha evocato anche la regia del tempo, che stava al Quirinale. Ma da galantuomo non ha citato chi non può più difendersi.

Le parole di Buemi devono aver toccato le corde giuste tra i senatori, se è vero che — finita la seduta — un autorevole parlamentare leghista si è confessatocon il sottosegretario alla Giustizia Ferri:«Abbiamo votato a favore della mozione perché Salvini ci ha bruciati sul tempo e non potevamo sconfessarlo. Ma nel gruppo quasi tutti eravamo contrari». Atti di contrizione si sono segnalati anche nel Pd, tanto che il titolare della Difesa Pinotti ha sentito il bisogno di prendere le distanze dal passato: «Personalmente non ho nulla di cui pentirmi. Ma ricordo il disagio che provai quando presentammo la mozione di sfiducia contro il ministro della Cultura Bondi per la caduta di un muretto a Pompei».

La catarsi serve per mondarsi, «anche se potremmo rinfacciarvi l’accanimento contro Berlusconi», aveva detto in Aula il capogruppo forzista Romani. Lotti stringe mani e ringrazia sotto il quadro di Fanfani, sebbene Gasparri avesse poco prima usato Toto Cutugno per spiegargli quale fosse la distanza: «Eravate venuti per mostrar miracoli e invece anche voi tenevate parenti. Siete italiani...». «È andata bene». Sipario.

Articolo di Francesco Verderami pubblicato su Il Corriere della Sera il 15 marzo 2017

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