Intervento in
discussione generale del senatore Buemi sul DdL
segnalazioni di reati o irregolarità nel lavoro
pubblico o privato
Il DdL abbassa la
soglia delle tutele
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il
disegno di legge al nostro esame è elusivo
dell'apparato di garanzie cui tende, in uno
Stato di diritto, il processo penale. Dietro il
paravento della segnalazione effettuata
nell'interesse dell'integrità della pubblica
amministrazione, infatti, si cela il tentativo
di abbassare la soglia delle tutele che, dinanzi
a un'accusa, spettano a ogni cittadino. In
questa fattispecie, infatti, la trasmissione
della denuncia al giudice penale è solo
eventuale: badate che non è un caso limite.
È già avvenuto che la sindaca di una grande
città avesse trasmesso atti all'ANAC e che
questa autorità si fosse limitata a esprimere un
parere invece di ravvisare elementi di sospetto
in una determinata nomina, salvo poi accorgersi
della cosa in ritardo - quando scoppiò lo
scandalo mediatico - trasmettendo gli atti alla
competente procura di Roma. Alla faccia
dell'obbligatorietà del rapporto in caso di
illeciti penali!
Dietro lo schermo della segnalazione effettuata
nell'interesse dell'integrità della pubblica
amministrazione si cela, quindi, una grande
ipocrisia. Per non impegnarsi nel deferimento
dei possibili illeciti all'autorità giudiziaria,
si crea un apparato sanzionatorio parallelo, che
passa per l'amministrazione e arriva all'ANAC,
che si riterrà soddisfatto anche solo con un
principio di prova, senza sollecitare l'assai
più rigoroso scrutinio (indizi chiari, univoci,
concordanti) che richiede, appunto, il giudizio
penale. In altre parole, tutte le volte che si
riterrà di non poter provare un episodio
corruttivo, sarà assai più comodo attestarsi
sull'ipotesi minimale della mala gestio, per
punire in sede disciplinare - o, peggio ancora,
extra amministrativa, grazie alle determine
dell'ANAC - chi non ha modo di difendersi,
rimanendo, appunto, appeso a un filo. Già,
perché in una qualche fase del giudizio penale
l'imputato giunge comunque a conoscere il nome
di chi lo accusa, ne viene a conoscenza.
Infatti, uno degli elementi fondamentali della
difesa è quello di dimostrare la non credibilità
dell'accusatore.
Come si fa a ottenere lo stesso risultato in un
giudizio amministrativo nel quale questo nome,
presto o tardi, non salta fuori? L'esigenza
sottesa al testo è giusta, ma andava soddisfatta
diversamente, senza abbassare il livello delle
garanzie.
La mia proposta, in sede di esame del disegno di
legge n. 19, fu anche più rigorosa.
L'emendamento 5.0.302, a mia firma, intendeva
punire con l'arresto fino a sei mesi «chiunque
pubblica in tutto o in parte, anche per
riassunto o a guisa d'informazione, l'identità
del segnalante», fino a quando l'indagine
preliminare fosse stata in corso. Tuttavia, mi
mantenevo, non a caso, all'interno del sistema
processuale penale, rispettando il punto di
equilibrio, ivi previsto, tra le responsabilità
di ciascuno (imputato, accusatore, giudice,
tutti alla luce del pubblico dibattimento). La
Presidenza preferì tuttavia dichiarare
improponibile l'emendamento, per dare spazio a
questo testo, che deroga alle garanzie
processuali più elementari.
Visto che ci siamo, segnalo un'altra anomalia
nella gestione parlamentare di questo testo, che
inizialmente era stato deferito alle Commissioni
riunite giustizia e affari costituzionali. Poco
dopo il suo arrivo dalla Camera dei deputati,
con riferimento espresso a tale disegno di legge
i deputati radicali della scorsa legislatura
presentarono la petizione n. 1.538, che
proponeva l'estensione della possibilità di
whistleblowing anche ai dipendenti dalle Camere.
Fu anch'essa differita alle Commissioni riunite
e lì è rimasta, anche dopo che, con decisione
discutibile, il disegno di legge passò alla sola
Commissione affari costituzionali.
Quindi, oggi non possiamo parlare
dell'intelligente proposta dei radicali, che con
quel provvedimento invitavano a superare l'autodichia,
in nome dei principi di parità tra i cittadini
e, quindi, tra tutti i pubblici dipendenti.
Non si capisce, infatti, perché continuare a
escludere, quanto meno dalla normativa Severino
già esistente, una nicchia amministrativa che in
passato si è segnalata per opacità. Se, ad
esempio, Scarpellini ha evaso l'IVA sugli
affitti della Camera del 2011 (come accertato
dalla sentenza del tribunale di Roma in questa
settimana), forse sono tenuti a saperlo anche
coloro che gestivano il contratto dal lato
dell'affittante. Se il contenuto della petizione
fosse stato legge, ce ne saremmo accorti tutti
prima e, forse, il discredito per le Istituzioni
che sopportano il peso di queste situazioni
sarebbe stato minore.
Ci sono però responsabilità del legislatore:
leggi equivoche, contraddittorie e incerte nella
loro definizione e tassatività, zone grigie
volute o irresponsabilmente determinate. Sono
anche alla base di uno Stato generale, oltre a
essere mancante qualsiasi controllo
amministrativo preventivo che, appunto, non
agisce in maniera precauzionale, mettendo in
discussione - anzi, sanzionando - gli atti
amministrativi non conformi alla legge. Ci sono
responsabilità degli amministratori, sindaci e
Presidenti.
Nell'indagine
che la Commissione antimafia ha fatto sul Comune
di Roma è emersa in maniera chiara l'assenza di
qualsiasi controllo interno, qualsiasi audit o
ispettorato che esercitasse un controllo
preventivo all'interno di un'Istituzione che,
con le sue partecipate, conta circa 60.000
dipendenti.
Ci sono però responsabilità anche più generali
del nostro Paese, cioè di noi cittadini. È un
Paese povero moralmente questo, se deve premiare
chi fa solo il proprio dovere. È un Paese povero
questo, se deve proteggere coloro che fanno solo
il proprio dovere. È un Paese povero questo, che
ha bisogno, anche in tempi di pace, di eroi.
Signor Presidente, io non mi rassegno. Credo in
un Paese in cui ci sono ancora coloro che non si
piegano all'omertà, all'arbitrio e alla
convenienza personale. Ci sono cittadini e
parlamentari che dicono quello che pensano e
fanno quello che devono.
12 ottobre 2017
Sandro Pertini
L'idea di socialismo
Loris Fortuna
Pietro Nenni
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