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Enrico Buemi

 

 

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Turi lesse i giornali e disse:
«’Sto Turi è colpevole sicuro!»

La storia dell’avvocato che difese l’onore di Peppino Impastato e che fu arrestato, anni dopo, con l’accusa di avere relazioni con la mafia. Tornato a casa, leggendo i giornali sul suo caso, emise “la strana” sentenza su se stesso

 

Turi Lombardo non è Raffaele Lombardo, catanese e medico psichiatra, già governatore della Sicilia, fondatore di un Movimento per le Autonomie che si diffuse fino al profondo Nord, e poi caduto nella polvere per accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso che lo fecero dimettere dalla carica nel 2012 e, dopo diversi anni e giudizi, si sono rivelate proprio nella primavera di quest’anno inconsistenti, condannandolo comunque per voto di scambio e restituendolo ormai sgonfio alla società civile – a quella politica, per ora, un po’ di lato. Però, Turi Lombardo condivide con Raffaele Lombardo, e con una nutrita pattuglia di politici siciliani – per citarne uno “di peso”, Calogero Mannino detto Lillo, ministro di questo e di quello nella Prima re- pubblica, accusato nel 1994 e definitivamente assolto nel 2010, con una coda per la trattativa mafia-Stato nel 2012 e assolto nel 2015 – la sorte di quelli “sporcati” da un’accusa infamante da cui, nonostante le assoluzioni benché tardive, non si riprendono più. Per dire: Paolo Piccione, anche lui finito nel tornado delle indagini degli anni Novanta – circa metà dell’Assemblea regionale siciliana era indagata – quando era presidente dell’Ars, per accuse di corruzione e turbative d’asta, da cui andò poi assolto. Fu, quel tornado, la fine dell’autonomia siciliana disegnata a misura di democristiani e socialisti e la premessa per quel clamoroso risultato elettorale del berlusconismo nel 2001 quando conquistò tutti i collegi tutti: 61 a zero, una cosa mai vista da nessuna parte, né prima né dopo.

Fu, quel tornado, l’applicazione di un “teorema giudiziario”: in Sicilia non è possibile essere politici di livello se non si hanno rapporti stretti con i mafiosi, e lo scambio di voti trova la sua ragion d’essere attraverso gli appalti per i lavori pubblici. Era, anche, l’applicazione del “teorema Andreotti”: più l’accusa sembra sostanziata da una prova inverosimile – in quel caso il “bacio” con Riina – e più può sembrare sofisticata: chi mai accuserebbe Andreotti di scambiarsi baci – mica era Totò Cuffaro vasavasa – se non avesse in mano inconfutabile prova provata?

Le prove non sempre risultarono provate, ma le carriere finirono spesso a gambe all’aria: d’altronde, era “senso comune” che i politici facessero affari con i mafiosi, no?

A Turi Lombardo toccò sorte simile: fu accusato, da una sorta di “ministro” degli appalti mafiosi, di avere le mani in pasta. Ci ricamarono sopra, ci costruirono sopra architetture complesse di rapporti e relazioni e scambi: quando – lo racconta sempre lui stesso, questo aneddoto – fu restituito alla famiglia, agli arresti domiciliari dopo mesi di detenzione, e si mise a compulsare tutti i giornali che avevano parlato del suo caso, e che aveva chiesto alla moglie di conservare, leggendo questo e quello non poté fare a meno di esclamare: «Questo Lombardo è colpevole!». Ma lui non era quel Lombardo lì, quello raccontato in quel modo dai giornali, quello che filtrava dalle stanze della Procura. Ci mise un po’ a dimostrarlo: intanto si era dimesso da assessore regionale.

Che c’entra Turi Lombardo, socialista, palermitano, avvocato e professore universitario, con la storia di Peppino Impastato? C’entra, perché agli inizi lui era lì. Era lì, a Cinisi, in veste di militante civile e in veste di avvocato. Quando intorno agli Impastato s’era fatto il deserto, e solo i compagni suoi stretti – quelli di Democrazia proletaria, quelli del Centro di documentazione di Palermo – ebbero il coraggio di dire come stavano le cose. Ebbero il coraggio di dire che a Peppino l’aveva ammazzato la mafia, la mafia di Cinisi. Non era stato un suicidio, non era stato un maldestro tentativo di piazzare una bomba: la mafia l’aveva condannato da tempo, e aspettò il momento giusto. Lo sequestrarono, lo picchiarono, lo strordirono, lo piazzarono sui binari, gli fecero scoppiare una bomba in petto.

 

Quando il pomeriggio del 9 maggio 1978 – mentre l’Italia intera trattiene il respiro perché è stato ritrovato il corpo di Aldo Moro in una R4 rossa in via Caetani – a decine compagni e cittadini si recano a Cinisi, tra loro c’è Turi Lombardo, socialista e avvocato, che insieme all’avvocato Di Napoli, redigerà l’esposto dei familiari e per un certo periodo seguirà le indagini.

Quando il 19 maggio a Cinisi si svolge una manifestazione indetta dai sindacati Cgil, Cisl e Uil, dalla Federazione giovanile socialista, dal Movimento lavoratori per il socialismo, da Democrazia proletaria e dal Comitato di controinformazione, dal Partito radicale, dal quotidiano «Lotta continua», a parlare dal palco c’è anche Turi Lombardo.

 

Quando, l’anno dopo, il 17 febbraio al cinema Alba di Cinisi, Radio Aut ( che era la radio di Peppino), Democrazia proletaria di Cinisi e il Comitato di controinformazione Peppino Impastato organizzano un convegno su “Potere mafioso e lotta di classe”, con il fratello Giovanni, Giuseppe Di Lello ( giudice antimafia), Michele Pantaleone, Umberto Santino, Salvo Vitale ( uno dei più stretti compagni di Peppino), ci sono anche gli avvocati Di Napoli e Turi Lombardo.

Poi, certo, le strade si dividono, la politica politicante, e spesso degli affari, è una cosa, la militanza di informazione e denuncia un’altra. E non basta certo una “singolare” coincidenza dell’agire giudiziario – pieno di depistaggi e ipotesi costruite “a arte” nel caso di Peppino, pieno di suggestive interpretazioni nel caso di Lombardo – a accomunare biografie e percorsi distantissimi.

Rimane però un dato: che in Sicilia perché si faccia luce sulle vicende giudiziarie ci vuole un tempo imprecisabile. Nel caso di Peppino, c’è stata l’attività costante e determinata di un pugno di parenti, amici e compagni che ne ha tenuto viva la storia; e non a tutti va così.

Articolo di Lanfranco Caminiti pubblicato su Il Dubbio il 30 settembre 2017

 

 

 

 

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