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La Sacra di San Michele.

La Sacra di San Michele è un complesso architettonico collocato sul monte Pirchiriano, all'imbocco della Val di Susa; è situato nel territorio del comune di Sant'Ambrogio di Torino ed appartiene alla diocesi di Susa. È il monumento simbolo della regione Piemonte.

È stata in passato una delle più celebri abbazie benedettine dell'Italia settentrionale, ed è tuttora tra i più grandi complessi architettonici di epoca romanica in Europa.

La Sacra nasce e cresce con la sua storia e le sue strutture attorno al culto di San Michele Arcangelo, che nella Sacra Scrittura è descritto come il capo supremo dell’esercito celeste in difesa dei giudei perseguitati, mentre nel libro dell'Apocalisse, Michele è il principe degli angeli fedeli a Dio, combattendo e scacciando il drago (Satana) e gli angeli ribelli. San Michele è venerato dalla tradizione cristiana come difensore del popolo cristiano ed è rappresentato come un guerriero chiamato in difesa contro i nemici della Chiesa.

Questa abbazia sorge tra il 983 e il 987 d.C. per le esigenze della cultura del pellegrinaggio, al centro di un percorso fra Mont Saint Michel in Normandia dove fu consacrato all’Arcangelo un santuario chiamato “Mont-Saint-Michel au péril de la mer” a causa del fenomeno dell’alta e bassa marea che rendeva pericoloso quel luogo e il Monte Sant’Angelo nel Gargano dove nel V secolo sorse il più antico e famoso il Santuario di San Michele.

Il monte Pirchiriano (962 metri s.l.m.), ha il nome che deriva da Porcarianus o monte dei Porci, analogamente ai vicini Capraio o monte delle Capre e Musinè o monte degli Asini, in ricordo del legame con il culto dei celti, popolazione che per prima abitò la Valle di Susa.

La leggenda attribuisce all'eremita San Giovanni Vincenzo la costruzione sul monte Pirchiriano di una basilica con l'aiuto degli Angeli. Alle soglie dell'anno mille irrompe, in quest'eremo Giovanni Vincenzo, un personaggio che cerca redenzione da un discutibile passato, si tratta del conte Ugo (detto Ugone) di Montboisser, ricco e nobile signore dell'Alvernia, recatosi a Roma per chiedere indulgenza a Papa Silvestro II. Questi, a titolo di penitenza, gli concede di scegliere fra un esilio di sette anni e l'impresa di costruire un'abbazia. Siamo negli anni 983-987 d.C. quando inizia l'edificazione del monastero, affidato in seguito a cinque monaci benedettini.

Con successive trasformazioni nei secoli XI e XII prima con la Chiesa di Ugone del 1035, poi con l'ardita costruzione del maestro Nicolao che ha ideato lo “Scalone dei morti” per sostenere l'ampliamento del pavimento della chiesa principale, la Sacra assume l'attuale conformazione.

L'abbandono della Sacra nei secoli XV e XVI, ed i bombardamenti francesi del XVII, fanno crollare la parte del Monastero Nuovo, verso nord-est.

Alla fine del secolo XIV si assiste al restauro più importante ad opera dell'architetto D'Andrade e i lavori vengono terminati nel 1937.

Dagli inizi fin verso la prima metà del 1300 il monastero vive la sua stagione più favorevole sotto la guida degli abati benedettini, dopo la quale segue una graduale decadenza.
Nel 1379 il malgoverno dell'abate Pietro di Fongeret, induce Amedeo VI di Savoia (il conte Verde) a chiedere alla Santa Sede l'abolizione della figura dell'abate monaco, cui si sostituisce quella del commendatario. Con la nomina dei commendatari incomincia l'agonia del monastero: dal 1381 al 1622 i monaci furono governati da priori, mentre gli abati commendatari, sempre lontani dal monastero, ne godevano le rendite. Uno di essi, il cardinale Maurizio di Savoia, nel 1622 convinse Papa Gregorio XV a sopprimere il monastero, abitato ormai soltanto da tre monaci.

Così ebbe fine il potente ordine benedettino dopo una vita durata più di seicento anni lasciando la Sacra quasi abbandonata per oltre due secoli.

Nel 1836 Re Carlo Alberto di Savoia, desideroso di far risorgere il monumento che era stato l’onore della Chiesa piemontese e del suo casato, pensa di collocare stabilmente una congregazione religiosa, offrendo l’opera ad Antonio Rosmini, giovane fondatore dell’Istituto della Carità, che l’accetta, trovandola conforme allo spirito della sua congregazione. Papa Gregorio XVI, nomina i Rosminiani amministratori della Sacra e delle superstiti rendite abbaziali. Contemporaneamente, il re affida a loro la custodia delle salme di ventiquattro reali di casa Savoia, traslate dal Duomo di Torino, ed ora tumulate nel Santuario, dentro pesanti sarcofagi di pietra.

Ancora oggi i Padri Rosminiani sono i custodi e gli amministratori della Sacra di San Michele, sostenuti e confortati dalla presenza di molti collaboratori e di tanti volontari, sia di enti pubblici che privati, ma soprattutto dalla Regione che dopo la legge speciale del 1994 ha riconosciuto "La Sacra monumento simbolo del Piemonte".

Oggi accanto ai Padri Rosminiani opera anche un gruppo di Ascritti Rosminiani, che sono anch'essi membri effettivi dell'Istituto della Carità della Congregazione religiosa fondata da Antonio Rosmini. Pur non avendo i voti di povertà castità e obbedienza, essi chiedono di unirsi alla Congregazione spiritualmente, partecipando alla comunione dei beni spirituali.

Umberto Eco si è parzialmente ispirato a questa abbazia benedettina per ambientare il suo celebre romanzo "Il nome della rosa". Inizialmente era stato proposto anche di ambientarvi l'omonimo film di Jean Jacques Annaud, scelta poi scartata dai produttori a causa degli elevati costi da sostenere

Leggenda della Torre della Bell'Alda.

Il muraglione perimetrale delle Rovine termina con una torre a strapiombo sul precipizio del monte, è la cosiddetta Torre della Bell’Alda”, che prende il nome dall’omonima leggenda.
Si narra di Alda, una fanciulla paesana venuta alla Sacra per pregare contro i mali della guerra. Purtroppo viene sorpresa dai soldati nemici, così tenta di sfuggire da loro, ma non avendo altra via di scampo si getta nel burrone invocando l’aiuto di San Michele e della Vergine. Si salva e rimane illesa in fondo al precipizio.
Purtroppo questo favore celeste fu da lei male usato, perché per vanità e denaro, s'immagina di poter fare un secondo salto e agli increduli suoi compaesani si offre di ripetere il volo, ma trova l'orribile morte dove prima aveva trovato l’inatteso scampo. Lo storico Gallizia è il primo che nel 1699 parla della leggenda e pare che il fatto sia accaduto proprio ai suoi tempi.

 

 

 

 

 

 

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