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Enrico Buemi

 

 

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QUEL POTERE CARISMATICO

È una vigilia elettorale di scommesse e di promesse: dal bonus bebè alla badante gratis per il nonno, dall'abolizione del canone Rai a quella del bollo auto. Non basterebbe la lampada d'Aladino per soddisfare tutti questi desideri. C'è invece un tema espulso dalla scena: quale Repubblica, quale democrazia per le nostre stanche istituzioni. E quale Costituzione, perché no? Dopotutto, il dissenso sulle regole del gioco non si è spento con il referendum del 2016. Solo che i partiti ormai non lo dichiarano, convinti che l'argomento ci sia venuto a noia. O al più dichiarano qualche singola intenzione, qualche trovata a effetto, come l'idea d'iscrivere i diritti degli animali nella Costituzione, di cui ha parlato Berlusconi alla fine di dicembre.

Diciamolo: è un inganno. Votando questa o quella lista, finiremo per scegliere altresì una particolare concezione del potere, per esempio il presidenzialismo del centrodestra o la democrazia diretta cara ai 5 Stelle. Meglio saperlo, meglio tenerne conto quando deporremo nell'urna la nostra scheda elettorale. Anche perché, a osservarne i programmi in controluce, tra forze politiche armate l'una contro l'altra affiorano assonanze insospettabili, che possono innescare alleanze imprevedibili. Sulle riforme, o magari sul governo. E allora apriamo gli occhi, anche a costo di guastarci la sorpresa.

Ma la sorpresa più sorprendente riguarda i 5 Stelle. Giacché il partito non partito, l'unico non coalizzabile né amalgamabile, ottiene viceversa il massimo di condivisione sulle proprie concezioni costituzionali. A sinistra con Liberi e uguali, cui l'unisce quantomeno la proposta d'abrogare il pareggio di bilancio, introdotto nel 2012 correggendo 4 articoli della Carta costituzionale. E perfino con il Pd, rispetto al quale c'è un metodo comune per designare il leader: le primarie. In un caso convocate in Rete, nell'altro attraverso l'affluenza fisica ai gazebo, ma sta di fatto che Renzi e Di Maio (insieme a Salvini) sono gli unici capipartito scelti dal popolo votante. Tuttavia le affinità elettive (elettorali?) corrono soprattutto fra centrodestra e 5 Stelle. Curioso, dato che Berlusconi non passa giorno senza coprirli d'improperi. Eppure quest'ultimo ha già annunziato ( 26 novembre) l'introduzione di un «rigido vincolo di mandato» per dire basta ai voltagabbana. E con lui Giorgia Meloni ( 27 dicembre). Raccogliendo perciò una bandiera storica del M5S: rovesciare l'articolo 67 della Costituzione, che proibisce il mandato imperativo. Non per nulla il codice etico del Movimento prescrive un multone da 100 mila euro per chi abbandoni il gruppo durante la legislatura. In secondo luogo, il centrodestra punta a una «clausola di sovranità» per garantire l'autonomia italiana rispetto ai vincoli europei. Significa riscrivere l'articolo 11 della Costituzione, impresa che incontra la sintonia dei 5 Stelle. Come il regionalismo differenziato, chiesto a gran voce da Zaia e da Maroni, ma anche da Grillo, attraverso i suoi gruppi consiliari.

Insomma, c'è qualche cavallo comune fra i nostri cavalieri solitari. E ce n'è specialmente uno che li accoglie tutti in groppa, partiti di destra e di sinistra, di centro e di lato, di sopra e di sotto: il concetto di potere carismatico, nel senso indicato da Max Weber. Fu Berlusconi il suo profeta, il primo a fondare un partito personale. Ora si sono berlusconizzati pure i suoi avversari, come mostrano l'evoluzione verticistica del M5S (ne ha scritto Piero Ignazi il 2 gennaio), l'identificazione del Pd con Renzi o quest'orgia di cognomi sulle sigle elettorali, da Bonino a Lorenzin, da Grasso a Salvini. È il nuovo verbo ( anti) democratico, declamato in coro da tutti i capipartito. Cui s'aggiunge un silenzio a sua volta corale. Ricordate? Nel 2013 la campagna elettorale si giocò sulla parola d'ordine in bocca a Bersani, a Monti o allo stesso Berlusconi: dimezzare i parlamentari. Adesso non ne parla più nessuno, neanche per sbaglio, neanche con un tweet. Per forza: con la calca d'aspiranti che preme sulle liste, di parlamentari ne servirebbero tremila, altro che mille.

Articolo di Michele Ainis pubblicato su La Repubblica il 15/1/2018

(17 gennaio 2018)

 

 

 

 

 

 

 

 

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