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Intervista al Segretario del Partito Socialista Italiano

Nencini: “L’antipolitica ha segnato un’epoca. E’ il momento di ricostruire

di Raffaele d’Ettorre

Aula di tribunale per un giorno. Oggi la storica sede della biblioteca del Senato a piazza della Minerva a Roma si trasformerà nel foro della politica. Il Psi infatti terrà un vero e proprio “processo” alla seconda Repubblica, con tanto di avvocati, giuria e giudice. Sul banco degli imputati siederà il cosiddetto “ventennio nero” della seconda Repubblica, un’epoca nata e cresciuta nel segno dell’antipolitica e caratterizzata da promesse gridate con forza e costantemente disattese. Intervistato dall’Avanti!online a poche ore dall’appuntamento, Riccardo Nencini (nella foto), segretario nazionale del Psi, ha tracciato un percorso storico che abbraccia trent’anni della storia italiana, dal terremoto del 92-94 fino alla soluzione tecnica di oggi, passando per promesse e tradimenti che hanno segnato cadenze e crisi della seconda Repubblica.

Quali reati vengono contestati alla seconda Repubblica?

L’avere illuso gli italiani e aver disatteso completamente gli impegni che vent’anni fa vennero assunti: non è stata mantenuta alcuna promessa. Questo è dimostrato, tra l’altro, dal fatto che non siamo riusciti a trovare nessuno disposto ad intraprendere il ruolo di “avvocato difensore” dell’imputato, la seconda Repubblica, e abbiamo dovuto trovarne uno “d’ufficio”. Nessuno, tra i tanti partiti che abbiamo interpellato, ha voluto assumersi la responsabilità di difendere “la propria figlia”.

Chi sono i padri della seconda Repubblica?

Il primo è stato sicuramente Berlusconi, che è entrato in politica proprio nel nome dell’antipolitica. È lui il padre legittimo. Poi ce ne sono stati anche altri: i leghisti, ad esempio. La Lega è stata il partito che, più di tutti gli altri, si è posto come esecutore materiale della fine della prima Repubblica. I leghisti però hanno nel tempo tradito tutto e tutti, e lo hanno fatto su un duplice fronte: mentre da una parte si mostravano al popolo come i distruttori della prima Repubblica, dall’altra assumevano degli impegni ben precisi verso il proprio elettorato. Impegni che hanno poi tradito sistematicamente. Oggi non c’è una legge che possa essere ricordata come prodotto degli impegni assunti dalla Lega: diminuzione delle tasse, federalismo, nulla di tutto questo è stato messo in atto. E la forza per farlo l’hanno avuta.

Tra tutti i partiti sorti dalle ceneri della prima Repubblica, ce n’è stato uno in particolare che dalla crisi del ’92 ha tratto forza maggiore?

Sì, l’Idv. Il partito di Di Pietro nasce proprio dallo sconquasso della prima Repubblica. Loro però, a differenza della Lega, non hanno tradito: hanno “semplicemente” goduto della fine di un’epoca. Sono nati come protagonisti-simbolo della fine della prima Repubblica. Sono figli di mezzo di una storia che finisce e di un’altra che comincia, pur se con il piede sbagliato.

Perché e in quali modi la seconda Repubblica ha fallito?

Principalmente per quattro cause. La prima è che la politica è stata incapace di ricostruirsi dalle proprie macerie. C’era un vizio congenito a inquinare le forze in gioco: con Berlusconi ha vinto l’antipolitica, e anche la sinistra che era in campo, gli eredi del PCI, non sempre hanno fatto della politica la loro stella polare. Si sono associati al coro di chi sosteneva che la politica fosse il male assoluto e andasse perciò demolita. La seconda causa che mi viene in mente è il mancato rinnovo delle classi dirigenti. Volendo operare una riflessione storica su fenomeni simili (Rivoluzione francese, Unità d’Italia e Resistenza), ci accorgiamo che l’età media di chi ha promosso questi processi era di ventun’anni. In Italia lo strappo è avvenuto in modo diverso: salvo che per il caso la Lega, c’è stata una forte continuità con il passato. Una continuità che alla fine ha negato il processo stesso di transizione.

Quali sono le altre due cause del fallimento?

Per ricostruire sarebbe servito uno spirito nazionale forte. Invece l’avversario politico è stato considerato alla stregua di un nemico da abbattere, piuttosto che di un rivale con il quale dialogare. L’ultima causa, infine, è che il ruolo internazionale dell’Italia era molto debole.

Che fine hanno fatto le grandi ideologie e il carisma politico che caratterizzavano la prima Repubblica?

In Italia sono stati abbattuti. Siamo arrivati al paradosso che l’unico strumento utile che è stato trovato per fuoriuscire dal passato è stato quello dell’antipolitica. La fuoriuscita dall’antipolitica del ventennio berlusconiano invece è avvenuta attraverso lo strumento della “tecnica”.

I cosiddetti “tecnici” oggi hanno alle spalle una maggioranza monolitica.

Durerà fino al 2013. A questo punto però servirebbe un atto coraggioso, una sorta di “mossa del cavallo”. La tesi è questa: rimangono ancora grandi macerie da smaltire in campo politico, economico e istituzionale. Rimangono, soprattutto, macerie più grosse dovute alla crisi di missione che ci investe: l’Italia oggi non ha più una missione. La soluzione più logica sarebbe quella di consentire a Monti di governare fino al 2014.

Che opinione si è fatto del governo attuale?

È un governo buono per la transizione: ha ripreso l’Italia per i capelli quando c’era bisogno di farlo. Non è però un governo della sinistra riformista. Non ha fatto la patrimoniale per le grandi ricchezze e si e fermato davanti agli ordini professionali più potenti: i farmacisti, i notai e in special modo i banchieri.

Sul mercato del lavoro come si è comportato?

Aspettiamo di vedere la riforma. Noi abbiamo consegnato a Monti un orientamento ben preciso: la priorità non è la riforma dell’articolo 18 ma la creazione di un articolo 18 bis, ovvero la tutela di quei quattro milioni di uomini e donne che non hanno ancora un ammortizzatore sociale. È fondamentale che adesso il governo lavori per risolvere definitivamente anche questo problema.

 

 

 

 

 

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