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Enrico Buemi

 

 

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Intervista a Rino Formica

Così la Catalogna avvicina la fine dell'Italia

 

Dalla Catalogna ai referendum italiani di Lombardia e Veneto, il passo non è breve ma potrebbe diventarlo, aprendo la strada ad un groviglio politico-istituzionale destabilizzante in molte parti del continente europeo. La Ue è destinata a diventare territorio di caccia e materiale da costruzione di qualcosa di nuovo, che ancora non si vede ma si incomincia ad immaginare, spiega Rino Formica, ministro socialista della prima repubblica, l'unica capace di "sovra-ordinare la politica alla geografia e il bene dell'Italia agli altrui interessi".

La Catalogna ha fatto professione di europeismo ma da Bruxelles hanno derubricato il caso come  "questione interna spagnola". Temono un pericoloso apripista?

L'Europa stenta a trovare la sua strada perché la Catalogna, raggiungendo la frontiera della secessione e di una quasi rivoluzione, segna un'altra tappa, assai profonda, della crisi interna dell'Unione.

Perché, Formica?

Se i catalani hanno sostenuto fino ad oggi di essere europei, non avrebbero avuto bisogno di distinguersi dagli spagnoli che sono europei come loro. Vuol dire che il processo di unificazione europea non c'è, o si è fermato, o ha tradito le aspettative, ora non importa approfondire come e perché, ma sottolineare la contraddizione. 

Come si evolverà questa crisi?

Gli stati vivono fin quando hanno una politica; senza una politica divengono solo geografia. A maggior ragione un super-stato come l'Unione europea oggi. Se si è solo geografia si torna ad essere territorio. E il frazionamento del territorio prima o poi è nelle cose, perché solo la politica lega territori diseguali e i territori non lo sono mai: né per popolazione, né per risorse, culture e storie.

Angela Merkel è presa dalla formazione del suo prossimo governo. E' il tempo di Macron?

Sì, ma il presidente francese non intende agire al modo della Merkel. Macron ha scelto un'altra strada: non quella di dare un'obiettivo politico alla Ue, per unificarla, ma di creare una rete tra stati più forti per la riorganizzazione di un'area geografica che possa essere competitiva nel mondo. Da qui la strategia sulla cantieristica navale, l'alta velocità ferroviaria, l'acciaio.

Questo cosa comporta?

Il blocco industrial-militare che presuppone la difesa unica europea perseguita da Macron non è funzionale a una linea politica, è esso stesso la linea politica. A suo modo Macron ritorna — si fa per dire — ai padri fondatori.

I quali davanti ad una Europa spaccata in due cominciarono con l'unificazione dei grandi settori produttivi, gli stessi che sono stati all'origine delle due guerre mondiali.

Sì, ma con una differenza. Che il correlato politico della riorganizzazione produttiva che ha in mente Macron non sono il parlamento e il governo europei, o la nazionalità europea, ma l'unificazione sui generis di due stati. L'Europa si ridurrà a Francia e Germania. 

 

E l'Italia?

In Italia si sottovalutano gli effetti che avrà i referendum consultivi della Lombardia e del Veneto. Sicuramente non porteranno alla secessione, ma introdurranno un ulteriore elemento che consoliderà la geografia a scapito della politica. Zaia, semplificando, vuole lo stesso trattamento di  Trento e Bolzano, ma non sa che la soluzione che fu adottata a suo tempo nelle regioni speciali italiane rispondeva precisamente all'esigenza di evitare il prevalere della geografia, l'allontanamento di paesi di frontiera dal corpo della nazione.

Come mai i leader su piazza, da Salvini a Berlusconi passando per Renzi, appaiono totalmente estranei a questo genere di considerazioni?

Perché sono figli della geografia, quella che ha predominato dal 1992-'93 in poi. La visione non può più essere nazionale, dev'essere sovranazionale. Occorrono leader visionari, capaci di vedere a distanza di cinquant'anni. Oggi invece non sembrano capaci di andare oltre le 24 ore. La loro politica è solo bollettino meteo. 

E il Movimento 5 Stelle?

E' il partito più geografico di tutti, navigazione a vista allo stato puro.

Qual è il nostro destino in Europa?

L'orientamento delle forze dominanti è quello di una riorganizzazione della società che mette in secondo piano il fattore sociale e che appare sempre più improntata alla competizione animalesca. Privi della capacità politica di cui sopra, i nostri leader saranno divorati e noi con loro.

Non ci resta che aspettare Draghi.

In un paese in cui c'è la catastrofe politica, è una riserva validissima. Geografia pura, la sua espressione più colta e più nobile.

Intervista di Federico Ferraù pubblicata su Il Sussidiario il 3 ottobre 2017

6 ottobre 2017

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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