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Enrico Buemi

 

 

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Intervista a Carlo Nordio

A noi magistrati la politica va vietata

Chi entra in Parlamento o nelle giunte fa un danno a tutti gli altri colleghi, dice il procuratore aggiunto di Venezia. Che accusa: «Alcuni pm hanno fatto il gran salto spinti da un complesso di superiorità»

Carlo Nordio è un magistrato che parla. Molto. Scrive editoriali, libri, prende posizione sui temi che scuotono il sistema giustizia. Passa però una differenza tra lui e certi pm che intrecciano le loro carriere con gli scoop dei giornali: Nordio interviene quasi sempre per dire quali errori lui e i suoi colleghi dovrebbero guardarsi dal commettere. E anche di fronte all'ultima ondata di toghe chiamate dalla politica per salvare il Paese, il procuratore aggiunto di Venezia non si trattiene dal dire quello che pensa: «Ai magistrati la politica dovrebbe essere vietata per legge».

Vietata addirittura?

Guardi che non lo dico adesso. L'ho scritto nel mio primo libro sulla giustizia, nel 1997: un magistrato non dovrebbe entrare in politica, o in parapolitica, né durante la carriera né da pensionato. E il motivo è semplicissimo.

Lo spieghi.

Persino nei casi in cui un giudice entra in politica dopo essere andato in pensione, tutto quanto ha fatto da magistrato rischia di essere letto come strumentale rispetto al secondo tempo della sua vita pubblica, quello giocato nel campo della politica, appunto.

Addio all'idea della terzietà, insomma.

Scusi ma se il dottor Nordio dopo aver condotto l'inchiesta sul Mose  (una delle poche inchieste di corruzione ad aver prodotto confessioni e restituzioni di tangenti prima ancora che sentenze, ndr)  si presenta alle elezioni in Veneto, molti penseranno che si sia dato da fare con quell'indagine per prepararsi una futura nicchia da politico.

Molti hanno trascurato la sfumatura.

Poi sa, questa è una delle ragioni che dovrebbero scoraggiare il pensionamento anticipato dei magistrati: a 70 anni ci si trova ancora nelle pieno delle forze, esposti a mille tentazioni, e se cominciano a chiederti se ti vuoi candidare... meglio tenere i giudici al lavoro ancora un po'.

Ne riparliamo. Intanto in una delibera di fine 2015 il Csm ha suggerito di prevedere almeno che dopo un eventuale lungo transito in politica un magistrato non possa rimettersi la toga, e che debba essere ricollocato in altro ruolo della pubblica amministrazione.

Sono assolutamente d'accordo. Ripeto, io sono più radicale e arriverei a uno sbarramento assoluto tra magistratura e politica. Ma visto che la cosa rischia di essere incostituzionale ben venga la proposta del Csm, che trovai subito indovinata.

In Parlamento per ora si ragiona su ipotesi normative più tenui.

Io credo una cosa: se un magistrato si candida o entra in una giunta come quella di Roma, così nettamente legata a un singolo partito, finisce per essere così esposto che la sua caratura pubblica rischia di essere compromessa.

E ma lei ha descritto proprio quanto avvenuto con Raineri prima e De Dominicis dopo.

Da quanti anni mandiamo a memoria la massima di Pertini, 'bisogna apparire imparziali, oltre che esserlo'? D'altronde è successo più volte, un magistrato assume funzioni di governo, o diventa parlamentare, e poi rientra in magistratura: il fatto è che la legge lo consente.

E ci risiamo col caso ravvicinato: dopo l'esperienza lampo in Campidoglio la dottoressa Raineri tornerà automaticamente in Corte d'Appello a Milano.

Sono sempre situazioni imbarazzanti, il caso Ingroia fu emblematico, poi è finito come sappiamo. Il punto è che già la magistratura è sospettata di essere politicizzata: non è vero, intendiamoci, ma certo bisognerebbe cercare di non alimentare il sospetto.

Con l'ascesa dei cinquestelle rischiamo di trovarci con sempre più toghe che assumono funzioni politiche, visto che il Movimento considera i politici in quanto tali indegni di rappresentare la legalità?

È assolutamente così, il rischio di cui lei parla c'è. Però scusi, dov'è la novità? È dai tempi di Mani pulite che si guarda alla magistratura come a un baluardo di legalità che la politica non è in grado di rappresentare. È un errore pratico e politico: ognuno deve fare il suo mestiere, e siamo di fronte a una bestemmia rispetto al principio di separazione dei poteri.

Non tutti i magistrati la pensano come lei evidentemente.

Molti miei colleghi hanno alimentato l'illusione di quella supplenza pensando di essere migliori degli altri. Si sbagliano: le persone di valore, e quelle inadeguate, sono tra i politici come tra i magistrati, indifferentemente.

La responsabilità della commistione è da dividersi equamente tra toghe e partiti, insomma.

In realtà la magistratura ha occupato il vuoto lasciato dai partiti ogni qualvolta questi ultimi hanno fatto un passo indietro. C'è una data di inizio, di questa resa: il ritiro da parte dell'allora ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Conso del decreto che depenalizzava il reato di finanziamento illecito. Ritiro avvenuto dopo il pronunciamento dei quattro sostituti del Pool. In questi ultimi vent'anni c'è stato un continuo scivolare della politica verso l'idea di far fare ai magistrati cose che competono a lei, salvo accusare i giudici di invasione di campo. Ecco ancora un'altra dimostrazione del fatto che servirebbe un'assoluta divisione tra i due ambiti.

Il fatto che alcuni giudici assumano ruoli politici è un danno, per la magistratura?

È un danno, esatto. Da decenni ci battiamo per preservare la nostra indipendenza, dovremmo essere i primi a capire che più ci accostiamo alla politica e più si penserà che ne siamo dipendenti, visto che andiamo a prenderne il posto.

A proposito di giudici che da pensionati possono cedere alle lusinghe dei partiti: il decreto che proroga il pensionamento per le Alte Corti è davvero un errore?

È un grave errore: rappresenta un inedito ed è a rischio incostituzionalità. Posso prenderla un po' alla lontana?

Se crede.

Il primo errore è quello commesso due anni fa con l'improvvisa riduzione dell'età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni, stabilita per decreto legge.

Perché fu un errore?

Innanzitutto per la forma. Si procede per decreto se c'è necessità e urgenza. Ma tanto urgente quel provvedimento non doveva essere, visto che prevedeva l'entrata in vigore della misura dall'anno successivo...

In effetti.

Ecco, ci aggiunga che poi si intervenne con una proroga e vedrà come il presupposto dell'urgenza fu formalmente smentito dallo stesso governo. Tanto da rendere addirittura incostituzionale il decreto originario. Sul quale non a caso il Consiglio di Stato si espresse assai negativamente.

Parte dell'opinione pubblica pensa che quella soglia così alta per il pensionamento dei magistrati fosse un incomprensibile privilegio.

Io non penso sia sacrilego abbassarci l'età pensionabile, anche se la cosa confligge con tutta la filosofia affermatasi dalla legge Fornero in poi: un giudice in pensione riceve un assegno esattamente pari allo stipendio che raggiunge a 70 anni, quindi lo Stato non risparmia nulla. Anzi ci perde: perché prima ci manda in pensione e prima deve assumere nuovi magistrati.

Ma non c'era una particolare emergenza in Cassazione?

No guardi, non c'era una ragione logica per limitare il provvedimento alle figure apicali della Cassazione. Se c'è un'emergenza riguarda anche il resto della giurisdizione. Le faccio un esempio: di qui a un anno a Venezia andranno in pensione sia il procuratore capo che l'aggiunto vicario, cioè il sottoscritto. Considerato che il tempo fisiologico che il Csm impiega per riempire le caselle scoperte è di circa un anno, la Procura di Venezia resterà per un anno sulle spalle dell'altro attuale procuratore aggiunto, che dovrà fare il lavoro di tre persone. L'ufficio non potrà più lavorare.

Infatti l'Anm reclama l'immediata rettifica e il reinnalzamento della soglia a 72 anni.

Mai vista l'Anm muoversi come un solo uomo come stavolta: le storiche divisioni tra correnti sono state completamente annullate. E anche a livello personale, molti colleghi che ho sentito hanno accolto quest'ultimo provvedimento con sdegno: non ha giustificazione alcuna, è inspiegabile. E sono convinto che i colleghi delle Alte Corti avvertano per primi il disagio. Anzi, le dico: io mi sentirei a disagio, se fossi il primo presidente di Cassazione.

Intervista di Errico Novi pubblicata su Il Dubbio l'8 settembre 2016

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