E se finisci giudicato da uno
così?
Un danno per la magistratura
L'intervista
rilasciata da Piercamillo Davigo al “Corriere della Sera”
apre due problemi. Uno molto pratico e l’altro di tipo
ideale.
Il problema pratico è questo: se a un cittadino qualunque
capita - e capiterà - di aspettare una sentenza della Corte
di Cassazione che deve essere emessa da una sezione della
quale fa parte Piercamillo Davigo, come si sentirà questo
povero cittadino?
Potrà ricusare Davigo, o invece dovrà accettare di essere
giudicato da un magistrato il quale afferma e ribadisce che
“non esistono innocenti, esistono solo colpevoli non ancora
scoperti”? E se per caso questo cittadino fosse uno che fa o
ha fatto politica, come si sentirà a farsi giudicare da un
magistrato il quale sostiene che i politici - tout court -
rubano?
Non è un problema “virtuale” è un problema concretissimo. E
porta con se un secondo problema: è evidente che Davigo non
rappresenta tutta la magistratura italiana, e che anzi la
maggior parte dei magistrati hanno idee ed esprimono
posizioni del tutto diverse e non in contrasto con la
Costituzione Repubblicana, come sono le idee di Davigo. Però
è pur vero che Davigo è stato di recente eletto a capo
dell’associazione nazionale magistrati, e questo può farci
immaginare che esista comunque un numero significativo di
magistrati che la pensano come lui. Qualunque cittadino che
dovesse finire sotto processo è autorizzato a temere che il
magistrato che lo giudicherà la pensi come Davigo.
Vedete, il danno che il presidente dell’Anm ha creato alla
giustizia italiana con questa intervista è grande. Perché
finisce col minare la credibilità non tanto di un singolo
giudice, ma di tutta l’istituzione.
Del resto che questo pericolo sia molto serio lo ha
immediatamente avvertito il dottor Luca Palamara, che oggi
fa parte del Csm e qualche anno fa ricoprì l’incarico di
presidente dell’Anm. Palamara ieri mattina, appena letta la
pagina del Corriere, è immediatamente intervenuto per
tentare di limitare i danni. Ha fatto benissimo. Ma
l’impresa è complicata, perché ormai l’intervista è
stampata. E lo sfregio che ha recato all’immagine della
magistratura e di tanti valorosi magistrati è irreversibile.
Il secondo problema è quello dei rapporti tra giustizia e
politica. Davigo non è certo uno sprovveduto. E’ un giurista
molto colto, ha studiato, è sapiente. Il suo unico difetto è
quello di avere una visione della giustizia e del diritto un
po’ precedente all’esplosione, in Europa - nel settecento -
dell’illuminismo. E dunque di essere, nelle sue idee, molto
lontano dalla Costituzione Repubblicana (dal suo spirito e
dalla sua lettera). La domanda è questa: se i rapporti tra
politica e giustizia sono nelle mani di un leader dei
magistrati che ha le idee di Davigo, come si può pensare che
questi rapporti si risolvano in qualcosa diversa da una
guerra?
Mi pare che questa prospettiva sia temuta anche dal dottor
Palamara, ma non credo che possa essere cambiata se non
scendono in campo quei pezzi di magistratura, moderni e
filo-Costituzione, che ci sono, sono molto grandi, ma anche,
francamente, piuttosto silenziosi.
Articolo di Piero Sansonetti pubblicato su Il dubbio
il 22 aprile 2016
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